Diario

Milano CSI

10 dicembre 2016

Giorgia Magni
“La parola d’ordine era “servizio”, il senso profondo del viaggio era quello della prossimità. Il Gruppo Giovani, nella sua prima forte esperienza, ha scelto di mettersi a disposizione per stare accanto alle famiglie colpite dal sisma tra agosto e ottobre scorsi. Come essere prossimi a chi è ferito e lacerato, impaurito, e perso? Non lo sapeva nessuno, ora ne hanno tutti la certezza: essendoci, amando, ascoltando, mettendosi a disposizione. Dopo un viaggio in pullman tra risate e canzoni, la prima tappa ha sancito l’incontro con la quotidianità che centinaia di persone vivono da mesi. Dal finestrino dell’autobus scorrevano sagome di quelli che una volta erano paesi, cuori pulsanti di sagre, feste, persone, abitudini, tradizioni e ora sono scheletri appesi sui pendii dei monti. Pescara del Tronto… inesistente. E gli occhi cadono su due auto appese a ciò che rimane di un lembo di terra sospeso per aria. Arquata del Tronto è sventrata, una colata di macerie la spezza. Noi restiamo in strada, ad ascoltare le parole di Margherita, che ci spiega commossa quanto è stravolgente e pauroso vedersi strappare via tutto dal terremoto, perdere identità e finire tra altri cento in alberghi o tendopoli, eppure, restare aggrappati al forte senso di appartenenza ad una terra, ad una comunità, ad una storia e ai suoi simboli. Nel pomeriggio di sabato un piccolo esercito di bambini di Roccafluvione si è riversato nella palestra del paese. Per loro non ci sono società sportive accessibili nelle vicinanze, e appena prende il via lo sport, la loro vivacità e la loro energia riempiono l’aria e tutto il campo da gioco, tra basket, calcio, pallavolo, balli, corse sfrenate da un lato all’altro della struttura. Loro ci contagiano, noi ci lasciamo contagiare e la magia esplode. È entusiasmante, ma ciò che ci attende la sera ancora non lo sappiamo. Alla fine sarà l’esperienza più formante e significativa per molti: non c’era da inventarsi giochi, da inventarsi trucchi, da fare grandi cose per trascorrere una sera con la gente sfollata ospitata negli alberghi di San Benedetto. Impariamo a non programmare, impariamo a non proporre nulla, Impariamo a seguire le esigenze degli altri, le modulazioni della loro voce per capire di cosa hanno bisogno. Bisogno di quotidianità, di due chiacchiere, di fare un disegno, come nel caso della piccola Rita, o di giocare a nascondino, o di fare una partita a carte, guardare la TV insieme, danzare, stare in silenzio ma con qualcuno accanto, e non soli. Nel viaggio di ritorno verso la Caritas di Porto d’Ascoli, continuiamo a parlarne, a confrontarci, a capire cosa stiamo provando, cos’abbiamo lasciato, cos’abbiamo portato a casa. “Mentre eravamo in una frazione di Arquata, per lo più sventrata, ho notato che il bisogno di sentirsi vivi si è tradotto in simboli: un’icona religiosa sulle porte, le luci di Natale sul campanile crepato dal terremoto. Mi ha molto commosso questo attaccamento forte che rivendica il bisogno di normalità”.

Alessandro Brizzi
“Una delle esperienze più gratificanti della mia vita… che consiglio vivamente a chiunque”.

Stefano Maschio
“Nei giorni che hanno preceduto la partenza mi è capitato di pensare per chi e per cosa sarei partito, considerato che l’unica certezza che avevo è che sarebbero stati due giorni “impegnativi”; poi, come spesso accade, queste sono le esperienze che ti lasciano “qualcosa”. Se oggi dovessi esprimere il mio stato d’animo citerei una frase di M. Jordan che dice: “mai dire mai, perchè i limiti come le paure sono spesso soltanto un’illusione.

Gianluca Labadia
30 ore per un’esperienza che vale. 30 ore che in realtà sono poche per esprimere delle sensazioni così varie. Un’esperienza che, come se già lo sapesse, anche il clima ci presenta. Abbiamo lasciato la nostra casa con la nebbia e il freddo, per giungere in un luogo inaspettato con un sole stupendo e cielo terso. Quasi ad ingannarci su ciò che avremmo vissuto. Sarebbe stato tutto così facile? Saremmo stati all’altezza? Ne sarei stato io, in prima persona? E come si fa a raccontare tutto in poche righe? Da dove comincio? Dalla fine, forse è meglio.
Sulla via del ritorno si mescolano positività con tristezza perché non vorresti salutare le persone nuove conosciute, così come gli amici già visti sui campi durante questi anni in CSI. Ognuno di noi proviene da realtà diverse e ci si conosce ancora poco. Lo stesso poi perché vorresti continuare le attività, proseguire in qualche modo l’opera iniziata, continuare a rendere testimonianza delle motivazioni forti e della carica che ti dà il pensare di poter svolgere un servizio concreto per il prossimo. Cose di questo genere ti riempiono il cuore di speranza, di determinazione, di gioia, insomma di valori che non possono non essere genuini. Però questa esperienza finisce oggi, per noi.
Ricordo che ero rimasto stupito dalla bella accoglienza ricevuta al mio ingresso nell’oratorio, dai ragazzi, da Massimo, dalla partecipazione e anche dal fatto che volontà comune era fare qualcosa di bello. Forse non avevo capito bene cosa c’era da fare, forse c’era qualcosa che mi sfuggiva. Eppure aver avuto la possibilità di visitare dei luoghi, purtroppo, martoriati, constatare che sono stati abbandonati, anche “forzatamente”, dagli abitanti, ascoltare le parole di Margherita, la nostra amica della Pastorale Giovanile di Ascoli Piceno, credo che non lascerebbe alcuno indifferente. Così come indifferente non sarebbe rimasto nessuno di noi dopo l’incontro con le vittime di questo fenomeno, al momento alloggiate negli alberghi in cui ci siamo recati. Il “giocare fuori casa”, rispetto a tutto ciò a cui siamo abituati nel nostro quotidiano e anche nell’attività che svolgiamo nello sport targato CSI, ha stimolato forse il meglio che c’è in ciascuno di noi. Abbiamo lavorato per la prima volta insieme per qualcosa, certamente affrontandola, ciascuno, secondo il proprio carattere e i trascorsi. I sorrisi dei bambini dopo i giochi fatti assieme e dei genitori e, ancora di più, degli anziani, dopo le incertezze su cosa avremmo dovuto fare per non irrompere nella loro nuova “intimità”, bensì per essere loro vicini nel dramma già vissuto, sono stati la ricompensa più bella. Io nel mio piccolo, mentre canto nel bus con gli altri e cerco di raccogliere altre sensazioni positive, non smetto di ringraziare Massimo, tutti i miei compagni di viaggio e chi si è preso cura di questo gruppo “giovani”, per le tante piccole cose che adesso, dopo una notte di viaggio, un’altra in sacco a pelo e un po’ di km percorsi, non vedo l’ora di ripetere e raccontare. Ed è solo il primo passo”.

Giacomo Crippa
“É difficile commentare questa esperienza. Un concentrato di immagini, emozioni, voci. Ci siamo fatti prossimi alle popolazioni terremotate, siamo scesi nelle zone colpite dal sisma, ci siamo messi “a servizio”. Quello che abbiamo visto, quello che abbiamo vissuto, rimarrà scolpito nel nostro cuore. Ma cosa ci rimane? Per tutti e ciascuno la risposta é diversa, ma io non dimenticherò la dignità di chi ho incontrato. Il terremoto li ha sconfitti, ma non li ha vinti. Hanno perso tutto: amici, parenti, case, attività e sogni. Viene da piangere, hanno pianto, ma il tempo delle lacrime é finito. Ora vogliono rialzarsi, vogliono rimettersi in piedi e ci riusciranno. Perché? Perché amano la loro terra, le loro famiglie, le loro tradizioni e l’amore gli dà forza, l’amore gli farà ricostruire il loro mondo. Il nostro mondo”.

Giulia Stefanelli
“Sono stati due giorni intensi che ci hanno permesso di guardarci dentro, di interrogarci e di riscoprire la bellezza della condivisione, dell’ascolto e della presenza. Sono orgogliosa di fare parte di questo gruppo e vorrei ringraziare i ragazzi uno ad uno: si sono messi in gioco e non si sono risparmiati fino alla fine. Hanno “gridato” al mondo la loro, la nostra, sete di vita… e il desiderio di fare la nostra parte”.

Elena Motta
“La precarietà è una dimensione che ci accompagna, ma toccarla in maniera così diretta attraverso lo smarrimento, il dolore o la forza della gente, è qualcosa che ti rimane incastrato lì, tra gli occhi e il cuore. Abbiamo dovuto fare i conti con tanti tipi di vuoto: il vuoto lasciato da borghi sbriciolati che forse non si alzeranno mai più, il vuoto incolmabile di chi ha perso realtà amate, il vuoto della monotonia delle giornate degli sfollati radunati negli hotel. Anche noi abbiamo dovuto creare un piccolo vuoto dentro di noi, un vuoto speciale: quello che ti permette di rimanere in silenzio per ascoltare davvero, quello che ti richiama all’essenziale, quello che ti permette di fare spazio per l’altro. Torno a casa con questa apertura che, già lo sento, è gravida di ricchezza. Ci vorranno giorni per metabolizzare ciò che ho vissuto, ma spero di riuscire a farne tesoro”.

Davide Allevi
“Questa esperienza mi ha risvegliato sensazioni e ricordi che avevo sbiadito dentro di me. Anche avendo subito la rabbia della terra il 23 agosto scorso in prima persona, non posso minimamente comprendere i sentimenti di queste persone. Il silenzio che si solleva dal collasso di quei paesi viaggia con la volontà delle persone di vedere al di là della drammaticità del presente. L’orgoglio dei terremotati e l’altruismo delle persone che stanno dando loro una mano anche nelle piccole cose, mi fa comprendere sempre di più che l’ascolto o il solo stare accanto non è mai una perdita di tempo. L’aiuto ha svariati modi in cui palesarsi e quello sportivo e d’animazione posso dire non essere stati secondari. Il pomeriggio che ci siamo donati, noi come volontari e loro come bimbi e genitori ha creato un legame fortissimo. Si è percepita la richiesta è la necessità di poter rivivere attimi di normalità, momenti di gioco e sport tra genitori e figli, evadendo dai confini di paura imposti da madre terra. Alla gente che magari si chiede ancora se lo sport può aiutare, cito questa frase di Mandela: “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione.”
L’aver vissuto in prima persona cosa voglia dire mettersi a servizio di altri e parlare ascoltando cedo abbia lasciato a tutti noi del gruppo giovani nuove riflessioni e possibilità di vivere la vita”.

Massimo Achini, Presidente Comitato CSI Milano
“Questo gruppo è impressionante. Ha dentro una carica di umanità che non si può descrivere. Eravamo alla nostra prima uscita ufficiale e abbiamo scelto un’esperienza di servizio faticosa, difficile, complessa. L’abbiamo vissuta in pienezza da tutti i punti di vista. Stando con questi ragazzi per 36 ore consecutive ed osservandoli, mi sono emozionato molte volte e ho toccato con mano le potenzialità di un’associazione come la nostra”.